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Il mio viaggio verso l’Ucraina, profughi da Zhytomyr

Caro diario,

la mia mente è un turbinio di emozioni, forti e contrastanti.
È più grande di me e ho paura di non saperle gestire, per questo vorrei provare a far ordine, scrivendo.

Sono anni davvero difficili.
3 anni fa in famiglia abbiamo dovuto passare una brutta malattia, un cancro, neanche il tempo di capire se ce l’avevamo fatta che è arrivato il Covid.
Dopo 2 anni di convivenza con la pandemia, ai primi bagliori di una ripresa “normale”, eccoci al limite di una nuova guerra mondiale, nucleare, con milioni di rifugiati alle porte, morti civili, bambini e tragedie.
Ma tutto questo cosa porterà alle future generazioni?
Ulteriore ignoranza, altre discriminazioni, sofferenze, depressione e tanta voglia di vendetta.

Ma cos’è davvero l’essere umano?

Un batterio, una muffa, un lievito che quando finisce di lievitare muore infornato.
Lo sappiamo, eppure non facciamo niente per evitarlo, il forno lo accendiamo noi.

Non riesco a capire.
Perché l’uomo teme il diverso?
Perché l’uomo aggredisce il diverso?
Perché lo perseguita e lo uccide?

Siamo esseri umani.
Siamo bianchi, siamo neri, viviamo al caldo e al freddo, mangiamo cose diverse, abbiamo storie diverse, tutte straordinarie, abbiamo gusti sessuali diversi… ma perché discriminarsi?
Non è pericoloso, è ricchezza, va preservata, studiata e valorizzata.

Comincio ad associare la parola Boomer anche a tutto questo.
Non solo un “anzianotto” tecnologico incapace di seguire l’innovazione, ma anche colui che non accetta e discrimina la diversità, qualunque essa sia.

Voglio raccontarti una storia.

All’inizio del conflitto sono rimasto scioccato, incredulo.
Come quasi tutti ignoravo buona parte di quello che già stava succedendo da anni nel Donbass.
Ne avevo sentito parlare e avevo letto qualche articolo a riguardo… ma sembrava così normale, così lontano, da non avermi incuriosito abbastanza… lo dico con un velo di vergogna.
Ma caro diario, siamo amici, e a te posso dire tutto.

Nelle prime ore, per i primissimi giorni, ho sperato che fosse una sorta di guerra lampo e che si sarebbe risolta in breve tempo. Ma poi una singola parola mi ha scatenato qualcosa di inedito, terribile.
Nucleare.

Tutto questo può davvero trasformarsi in una guerra nucleare?
Ma come può un Paese, anzi no, un Dittatore anche solo pensare di minacciare un lancio nucleare, offensivo, di distruzione di massa?

Non ci rendiamo neanche conto di quello che può accadere.
Se questa diventasse una guerra mondiale sarebbe LA guerra mondiale.
I bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki hanno causato vittime (stimate, è impossibile avere il numero) intorno alle 200.000, senza considerare le potenziali morti negli anni successivi per tumori o ripercussioni sulla salute.
Sono passati 77 anni da quei lanci.
Oggi ancora molte persone ricordano quegli avvenimenti, li hanno vissuti. E oggi rischiano ancora.
Tutto questo è inconcepibile.

Per non parlare dei progressi che le tecnologie missilistiche hanno fatto.
Quelle bombe atomiche erano poco più di petardi, in confronto alla potenza distruttiva degli ordini moderni.
E ci sono molte migliaia di ordigni nucleari al mondo. Anche in mano a dittatori dal grilletto facile.
Immaginate decine, centinaia, anzi molte migliaia di bombe nucleari nelle principali città del mondo cosa potrebbero fare.
Non c’è nessuno che possa considerarsi al sicuro… paesi neutrali, sperduti, tutti in un qualche modo verrebbero colpiti dal conflitto.

#FCKPTN
#FCKPTN

Sono terrorizzato, la mia prima preoccupazione va ai miei figli.
Come faccio a tenerli al sicuro? Dove sarebbe meglio andare?

Il dittatore Putin ha iniziato il conflitto, probabilmente l’ha sottovalutato, ma non vuole cedere.
Ci sono russi che non sono d’accordo con la guerra, alcuni inconsapevoli e alcuni spaventati dal dittatore.
Bielorussi partigiani che combattono contro il loro paese.
Ma purtroppo verranno coinvolti tutti, alimentando odio, risentimento e discriminazione indiscriminata.

Tutto questo fa schifo.

Per giorni mi sono sentito spaventato e impotente.
Lunedì 28 Febbraio sono stato alla spasmodica ricerca di capire cosa potessi fare per aiutare.
Uso poco i social e forse Twitter è quello che uso meno… ma in questi casi è il Social migliore, più formidabile di tutti. Da lunedì sono tornato un assiduo frequentatore, scoprendo che Anonymous si è attivata in una delle più belle cyberwar contro la Russia.
Ho così iniziato a pubblicare (su suggerimento loro) recensioni di ristoranti, bar e attività su Tripadvisor, Google Maps e altri siti secondari, descrivendo quello che stava succedendo, nella speranza di mostrare la situazione ai russi.

Ho poi cercato di capire come ospitare profughi ucraini. “Sono papà anch’io – mi sono detto – non daresti asilo ad una mamma coi suoi bambini?
Ho chiesto alla Proloco del paese, di cui faccio parte, per capire se ci fossero iniziative, se si potessero coinvolgere le altre associazioni e se si potesse avere supporto da Chiesa e Comune.

Ma sembrava tutto così immobile.
Con la percezione che potesse esserci una escalation da un momento all’altro, anche poche ore sembravano un’eternità, inaccettabile.
Ma cavolo, possibile che gli altri non si rendano conto? In tanti dicono di voler fare qualcosa, ma nessuno fa niente di davvero concreto. Tutti bravi a parole… basta condividere qualche post di solidarietà e siamo tutti a posto con la coscienza.

Fino a quando ho sentito un amico, che lavora per un’azienda che ha anche una sede in Ucraina.
Lavora in questa azienda da quasi 30 anni e ha amicizie forti, vere, nella fabbrica Ucraina.

Si sta informando anche lui, per portare in Italia le famiglie di alcuni colleghi ucraini.

Sono storie vere, sono storie drammatiche, c’è tanta sofferenza.
Gli ucraini non vogliono lasciare il paese, né gli uomini né le donne.
Ma si rendono conto di non poter garantire l’incolumità della propria famiglia stando li, ad aspettare la prossima bomba.

C’è un collega in particolare, che chiamerò R., che sta vagabondando da giorni in auto con la famiglia.
La famiglia include la moglie O. di 29 anni e 2 bambini, I. di 2 anni e L. di 6.
Vagabondando tra i paesi vicini, cercando e dando assistenza, elemosinando pochi pasti al freddo, il figlio piccolo si ammala.
Decidono così di tornare verso casa, da amici e parenti, in cerca di antibiotici per il bimbo, che fortunatamente si riprenderà subito.
Nell’eterna indecisione per non volersi separare, i 4 rimangono assieme più che possono, fino alla notte tra l’1 e il 2 Marzo, notte in cui alcuni bombardamenti sfiorano la loro abitazione, facendo tremare le pareti.
È il panico, l’ennesima conferma che quella poteva essere la loro tomba se non si fossero mossi al più presto.

Scattano così le telefonate verso il mio amico italiano G., telefonate spaventate in cerca di conforto.
Ma ancora non sono decisi.
Alla fine G. si arrabbia e, al telefono con l’amico R. ucraino, gli urla che deve prendere una decisione, che se vuole lui è disponibile ad andare a prendere la sua famiglia, nel tentativo di tenerla in Italia, al sicuro (finché lo saremo).

La sfuriata lo scuote.
Nel mentre G. mi chiama, chiedendo se sono ancora interessato a far qualcosa, che gli sarebbe servito un secondo autista.
Mi balza il cuore in gola.
Da una parte sono sollevato di poter fare qualcosa, forse qualcosa di piccolo, ma qualcosa di concreto. Dall’altro sono spaventato e il cuore per 5 minuti va a palla.
Accetto al volo, con tutto me stesso e più che mai. Avevo già avvisato la moglie qualche giorno prima che ero alla ricerca di far qualcosa, incluso andare a prendere persone e ospitarle a casa e lei –amor mio grazie – è sempre stata d’accordo, nonostante capisse la difficoltà delle situazioni da gestire.

È mercoledì 2 Marzo e ho appena finito di pranzare in mensa quando arriva la telefonata.
È G., mi dice di prepararmi che la mattina dopo, presto, saremmo partiti. Mi chiede se sono ancora convinto, che avrebbe potuto chiedere ad altri, ma non c’è alcun ripensamento, è una cosa che voglio fare.

I stand with Ukraine
I stand with Ukraine

Lui si sarebbe occupato del mezzo, io dovevo studiare la strada.
Fortunatamente dobbiamo prendere 7 persone, la moglie di R. coi 2 bambini, più una sua collega, sua figlia e i 2 suoi nipotini, gemelli di 2 anni.
In 9 possiamo organizzare un solo mezzo da 9 posti, che possiamo guidare con la nostra patente B.
Abbiamo provato a organizzare pulmini più grandi, da 15 e 20 posti, ma serve l’autista, meglio 2 autisti e oltre ai costi spropositati non sembra che i noleggi siano disponibili a queste avventure.

Anche per il pulmino 9 posti non abbiamo fortuna, alcuni non hanno il mezzo, altri si inventano di tutto appena accenniamo cosa stiamo per fare.
Ma la fortuna alla fine gira e troviamo un Renault Traffic nel basso vicentino.
Non solo, G. riesce a convincere l’azienda a sponsorizzare parte del viaggio, mezzo incluso.
Meno male, a conti fatti sarebbero stati più di 1.000€, senza contare possibili multe.

Io invece mi occupo della strada e valuto il percorso migliore.
L’obiettivo è quello di far uscire tutti dalla Slovacchia, perché sembra essere il percorso più veloce.
Altri colleghi dicono che le code in attesa di uscire (in auto e al freddo) arrivano a 30 ore sia in Polonia che in Romania, ma sembra che ci sia un varco più veloce in Slovacchia, in una località che si chiama Vel’ké Slemence.
Le strade sono 2, passare per Slovenia, Ungheria e Slovacchia, oppure evitare l’Ungheria passando per l’Austria. Alla fine optiamo per l’Ungheria, strada più breve di qualche ora.
Giusto un viaggetto di 13 ore per circa 1.200km di strada, solo per l’andata verso le porte dell’inferno (solo le porte, il vero inferno è dentro).

Riguardo gli ospiti che verranno in Italia G. è già d’accordo.
Loro ospiteranno la moglie di R. coi 2 bimbi, mentre le altre 4 hanno già trovato ospitalità da una collega che abita in un comune qui vicino.
Così le nostre mogli, con i bimbi al seguito, iniziano un pomeriggio di fuoco, organizzando spese, seggiolini, letti a castello, camere degli ospiti… devo proprio ringraziare mia moglie e ricordarmi di più di quanto sia importante e mi sostenga in momenti come questi.

Io intanto accenno la cosa in ufficio e prendo 2 giorni di ferie, giovedì e venerdì, tornando a casa puntuale (cosa più unica che rara) per finire i preparativi.
Passo così a prendere G. e andiamo a prendere il Renault Traffic.
Tutto sembra andare bene, a parte uno specchietto tenuto su con il nastro adesivo e la spia dell’olio che si accende alla prima accensione. Il proprietario ci tranquillizza, carica un Litro d’olio e ci dice che non avremo problemi… e noi ci fidiamo, non abbiamo piani di riserva.
L’obiettivo ora è caricare il pulmino con 4 seggiolini, da mangiare e bere per tutti per almeno 2 giorni, un cambio per noi e partenza alle 6 dell’indomani mattina.

A cena un pasto veloce, bimbi a letto e poi qualche chiacchiera con la moglie… il sonno non vuole venire e temo siano arrivate le 1 prima di riuscire a chiudere gli occhi.
Per poi essere sveglio come un grillo alle 5, pronto alla partenza.
La moglie si alza con me, facciamo una modestissima colazione assieme, poco più di un caffè rinforzato in attesa di G.

G. arriva con qualche minuto di ritardo, carichiamo il pulmino, montiamo un supporto per il cellulare, che andrà in roaming per 2 giorni con Waze, con un caricabatterie attaccato all’accendisigari.

Il viaggio in realtà scorre poi liscio, durante la tratta facciamo tutte le vignette per le autostrade, quella Slovena, Ungherese e Slovacca. Tutte online da cellulare, meglio del previsto.
Sembra comodo, senza adesivi da appiccicare al vetro, speriamo di non aver sbagliato qualcosa.
Sono altri 70 euro, 30 per la Slovenia, 25 per l’Ungheria e 15 per la Slovacchia, con il mezzo che abbiamo.

La parte più difficile è stata quella di rispettare i limiti, per lo più 100 e 110 su strade dritte e poco trafficate, ma con telecamere ovunque… e ogni foto sono 300€ di multa.
Ma tutto sommato il viaggio scorre liscio, io e G. ci diamo il cambio un paio di volte e facciamo qualche piccola sosta per fare il pieno e andare in bagno.
Nel mentre ci teniamo sempre più in contatto e aggiornamento con gli amici ucraini.
Coi 4 che non saranno nostri ospiti è facile, perché la nonna parla bene italiano, mentre la moglie di R. non parla né italiano né inglese.
Finché è assieme al marito, che non può uscire dal paese per la Legge Marziale appena introdotta, non ci sono problemi, perché R. parla italiano.
Ma ci chiediamo come faremo a tenerci in contatto quando sarà fuori dall’Ucraina senza di lui.

Chiediamo a R. una foto della moglie per poterla riconoscere e ci manda una foto della sorella, che ci dice essere con lei e che lei parla inglese.
Un brivido ci percorre tutta la schiena. Siamo in 9 con 4 seggiolini, senza neanche sapere quante valigie dobbiamo caricare. E se ci fosse anche la sorella?

Chiedo a G. di chiamarlo subito per capire meglio in quanti sono e quante persone dobbiamo prendere.
Così si scopre che oltre alla moglie di R. con i 2 bimbi, non solo c’è la sorella K., ma anche la mamma N.
Ottimo! Abbiamo un Traffic 9 posti con 4 seggiolini per i 4 bambini e invece siamo in 11.

Non è colpa di R., molti messaggi indietro sembrava avesse detto che erano in 5, ma poi per molto tempo ha parlato solo di moglie e figli e nella fretta di preparare tutto qualche pezzo si è perso per strada.
Siamo rimasti un po’ smarriti all’inizio, ma abbiamo cercato lo stesso di tranquillizzare R. che avremmo trovato una soluzione e non avremmo lasciato indietro nessuno. Non era il caso di creare altre preoccupazioni all’amico.
È stato in questo frangente che mi sono reso conto di essere stranamente calmo, proprio io che solitamente sono ansioso se non ho tutto sotto controllo. Era da molti giorni che mi sentivo agitato, ma improvvisamente, nel bel mezzo dell’Ungheria andando a prendere 9 sconosciuti che fuggivano dalla guerra con un veicolo troppo piccolo, mi sentivo calmo, freddo e razionale.
C’erano ancora delle emozioni forti, ma riuscivo a gestirle in modo calmo, come poteva essere?
Perché non era sempre così?
Perché tante volte le emozioni prendono il sopravvento, con ansia e batticuore?
Non me lo so spiegare. Da quel momento in poi mi sono sentito sereno, emozioni forti ma sotto controllo, lucido e razionale… e tuttora non ho capito cosa sia successo.

Tranquillizzo G., che invece era andato un po’ nel panico, dicendo che ce l’avremmo fatta.
In testa mia c’era ora una sola priorità: andar lì e vedere se ci stavamo tutti in macchina.
In caso negativo abbandonare i seggiolini, razionare il cibo allo stretto necessario e tornare in 11 coi bambini in braccio. In qualche modo si sarebbe fatto.
In Italia non sarebbe stato un problema, io e la mia famiglia siamo sempre stati a disposizione e avremmo potuto ospitare noi le 2 persone in più.

Durante il pomeriggio ci rendiamo conto che dormire in pulmino sarebbe stata utopia: entrambi ci siamo sforzati e siamo riusciti a chiudere gli occhi forse 2 mezzore, sicuramente insufficienti a fare un ulteriore viaggio per il ritorno di 13 ore, per tutta la notte, in serenità.
Fortuna vuole che l’azienda dove lavora il mio amico abbia anche una fabbrica in Slovacchia, in una città che si chiama Nesvady, non proprio comoda al confine ucraino, a metà strada in linea d’aria tra Budapest e Bratislava.

Dal confine sono altre 5 ore, una bella sfida ma non inarrivabile.
Ecco subito che G. si mette in moto, chiedendo i numeri di telefono dei colleghi Slovacchi e chiedendo autorizzazione ai capi per passar la notte negli appartamenti della fabbrica di Nesvady.

Solidarietà e comprensione sono state meravigliose in queste giornate… in brevissimo era deciso tutto, avremmo passato la notte nelle stanze degli ospiti della fabbrica slovacca.

Siamo arrivati al confine con l’Ucraina poco prima delle 8 della sera.
Avevamo paura di vedere qualche bagliore o di sentire qualche botto, ma eravamo ancora lontani dalle zone assediate e in realtà non abbiamo sentito nulla.
Abbiamo però incrociato altri pulmini, alcune ambulanze, un camion che trasportava una di quelle camionette con la mitragliatrice sopra e un convoglio di molti mezzi militari vicino al confine.
Non abbiamo visto niente, ma anche questo “niente” scuote il cuore lo stesso, ve lo assicuro.

Arrivati al punto di raccolta veniamo mandati verso un parcheggio da 3 soldati in tenuta militare, ad aspettare. Il parcheggio altro non è che un campo, dove ci sono alcuni profughi in attesa su panchine e tavoli da sagra. Scendiamo dalla macchina, è buio e fa molto freddo… ci rendiamo presto conto di cosa voglia dire davvero star fuori al freddo, magari per giorni, con anziani e bambini… tutto questo è sempre più inumano.

Siamo al telefono con loro, loro non usano Whatsapp ma Viber, app molto simile con la quale riusciamo a scriverci normalmente.
Un pulmino fa da spola dal campo profughi al parcheggio per il ritiro. Fortunatamente il campo dove sono loro è sotto alcuni tendoni che riescono a riscaldare e scopriamo che sono riusciti anche a mangiare.

Nel giro di pochi minuti riusciamo a ricongiungerci tutti e mentre io smonto tutti i seggiolini, G. spiega che siamo in 11 sul pulmino da 9.
Neanche il tempo di scaricare i seggiolini che, senza fiatare, sono già tutti saliti in macchina.
E le mie preoccupazioni per il bagagliaio spariscono… nonostante avessimo uno zaino a testa, un frighetto e altre 3 borse di cibo, loro sono venuti con uno zainetto e una borsa della spesa, solo 2 hanno un trolley.
Tra l’altro una borsa della spesa ha poco più di qualche stuzzichino per i bimbi con qualche gioco, sono sempre più commosso, ma faccio finta di essere forte e mi metto in faccia un sorriso di rassicurazione.
Messe tutte le “valigie” in macchina, riusciamo ad incastrare nel bagagliaio anche i seggiolini, per la gioia di G. che aveva paura di doversi giustificare con gli amici che glieli avevano prestati.

Spieghiamo che siamo diretti alla fabbrica slovacca e che ci avremmo messo altre 5 ore di viaggio (ma tutte loro sono già reduci da MOLTE ore di viaggio MOLTO poco confortevoli).
Nessuna batte ciglio e si parte.

Durante le prime ore guido io.
Dopo la prima mezzora in cui si è riuscito a chiacchierare, tra italiano, inglese e ucraino, bambini, mamme e nonne crollano (sempre in 11 coi bambini in braccio).
Io tengo duro, ma inizio ad accusare la stanchezza.
L’obiettivo più importante era quello di mettere tutti in macchina e partire, ora piano piano la tensione alleggerisce la presa e con lei subentra la stanchezza, quella vera.
Dopo qualche ora, mi rendo conto che continuare a guidare sarebbe stato irresponsabile e chiedo il cambio a G. che si era appisolato. Mi dà il cambio mentre io prendo posto sul lato passeggero, appoggiato al finestrino.
Solitamente non riesco a dormire seduto, ho un sonno stupido, mi serve buio e silenzio e mi sveglio se cade una foglia. Ciononostante crollo con il braccio appoggiato al finestrino.
Non molto, circa mezzora, dopo la quale apro gli occhi e vedo che G. è titubante se tenere la destra e andare dritto, oppure mettersi a sinistra per svoltare.

Il navigatore indica sinistra e c’è anche un bel semaforo rosso.
Così apro gli occhi intorpidito e gli dico: “G. che fai? Sinistra, occhio che c’è rosso”.
Nel mentre si era buttato a sinistra ma non aveva visto il semaforo. Il pulmino è pesante per inchiodare e la strada sembra libera, così decide di passare e bruciare il semaforo rosso…

Sono circa le 22:30 e siamo in un qualche posto non identificato in Ungheria.

Ma chi c’è in coda al semaforo bruciato nella via che abbiamo appena imboccato?
Una bella macchina coi lampeggianti e con la scritta “Rendőrség” sulla fiancata… la polizia ungherese.

Siamo in 11 su una macchina da 9 posti, con 4 bambini senza seggiolini, di notte sperduti in Ungheria… G. prende paura e accelera, sembra che dallo specchietto si stiano girando.

Ma siamo su un Traffic carico più di un mulo da soma, su un rettilineo deserto in mezzo ai campi… G. dove vuoi andare?
Dico a G. di rallentare e di stare sotto il limite dei 60km/h, invocando ogni santo all’appello… avrei giocato pulito, spiegato ogni cosa, dove stavamo andando, in teoria avevamo tutti i documenti, sperando nella comprensione.
Ma la fortuna torna ad assisterci e la macchina che abbiamo dietro si ferma.

Le ipotesi sono queste: non ci hanno seguito perché non ne avevano voglia o perché avevano intuito dal pulmino italiano cosa stavamo facendo, oppure è in arrivo una sanzione.
Ciononostante, l’abbiamo fatta franca, passare tutti la notte al commissariato ungherese non era nei piani.

I stand with Ukraine
I stand with Ukraine

Passiamo così il confine e torniamo in Slovacchia (il navigatore ci ha fatto fare il giro “da sotto”).
Abbiamo tenuto duro fino a questo momento per fare gasolio in area Euro, ma neanche una stazione di servizio fa orario notturno e non troviamo self service, tutti i distributori hanno le transenne davanti… vabbè, dovremo farcela, ce ne preoccuperemo l’indomani mattina.
Finalmente raggiungiamo la fabbrica e un gentilissimo italiano naturalizzato slovacco, N., ci guida verso le stanze, facendoci trovare praticamente tutto pronto. Abbiamo 5 stanze e tutto sommato sono ben attrezzate, meglio che stare in hotel.
Una cena veloce con gli avanzi del giorno, una mezza birra e 4 chiacchiere per programmare il giorno dopo.

Abbiamo deciso così di cercare un’auto in più a noleggio, per evitare la sfacchinata del giorno prima ed evitare il rischio di sanzioni pesantissime per niente. Così l’amico italiano N., amichevole e sempre col sorriso, si propone di far da tramite con la promessa di cercare un noleggio per la mattina dopo.
L’idea sarebbe un noleggio con la consegna della macchina nel vicentino, altrimenti un altro collega di G., che sarebbe tornato a Nesvady lunedì, avrebbe potuto portare la macchina indietro.
Ed infine siamo crollati a letto.

Nuovo obiettivo: colazione intorno alle 8 per poi recuperare l’auto in più a noleggio e riprendere le ultime 8 ore e mezzo di viaggio.

Anche quella notte ho dormito poche ore e intorno alle 5:30 ero sveglio.
Innervosito mi giro ripetutamente nel letto, nella speranza di riprendere sonno, senza successo. “Sei stanco morto – mi dico – Dormi, stupido!”, ma niente…
Stufo ho preso in mano il telefono e ho iniziato a scorrere i principali siti di notizie, Il Fatto Quotidiano, la CNN, Twitter e un canale Viber suggerito dagli ucraini.
Dopo le drammatiche letture una doccia davvero rigenerante e alle 7:45 sono pronto in cucina.
Mangio una brioche, bevo un caffè e aspetto gli altri.

Nel giro di pochi minuti iniziano ad arrivare tutti e i bambini sembrano riposati ed esuberanti.
Che tenerezza, sembrano inconsapevoli, ma sono sicuro che in qualche modo stanno elaborando anche loro la mancanza del padre e questo viaggio estremamente poco piacevole, senza più i loro animali domestici e i loro giochi.
Riesco poi a scambiare 4 chiacchiere con le ucraine e, durante la colazione, K. (la sorella di R.) decide di mostrarmi la foto della sua scuola a Zhytomyr, città ad Ovest di Kiev dove viveva.
La scuola era stata bombardata durante la notte ed era un cumulo di macerie.
Gli occhi di K. e della mamma N. si commuovono, mentre io non so più che faccia fare e dove guardare.

Sono le 8:30 e arrivano anche i colleghi slovacchi, che ci aiuteranno a trovare la macchina.
Arrivano le 10 quando finalmente abbiamo conferma di aver trovato un’auto ad un costo onesto, con la promessa di riportargliela indietro lunedì, ma G. è già d’accordo con i colleghi e questo non è più un problema.
L’auto è una Skoda Octavia e il costo sembra contenuto, c’è un sovraprezzo al kilometro, ma includendo la copertura per i Km che da percorrere, poco meno di 1.700, saremmo stati sui 230€.
G. non vuole giustamente approfittare troppo della disponibilità dell’azienda con ulteriori costi e si propone di pagarla lui. Io non sono d’accordo, penso abbia già fatto tanto e provo a sentire se siamo disposti a sponsorizzarla come Proloco. Sento il presidente, che autorizza immediatamente… un grandissimo grazie anche a loro, un gruppo magnifico.

Alla fine, dal dover pagare tutto noi, è rimasta la spesa (una bella spesona, ma che è avanzata quasi tutta), il gasolio e le vignette mancanti all’Octavia… sperando di aver schivato sanzioni.

Così, intorno alle 10 riusciamo ad uscire, solo io e G., per fare il pieno al pulmino e andare a recuperare l’Octavia.
La notte è stata fredda e sta facendo qualche falìa di neve… attimi di paura, il pulmino non si accende.
Prendiamo un bel respiro, la batteria dà qualche colpo, ma sembra scarica.
Spegniamo tutto e aspettiamo qualche attimo.
Dopo un paio di colpi a vuoto, riusciamo a mettere in moto. Sembra reggere, spingo qualche colpo di acceleratore ed ecco accendersi anche la spia dell’olio… ottimo, avevamo messo un Litro prima di partire.

Vabbè, il pulmino regge e speriamo che l’alternatore faccia il suo dovere… anche qui non abbiamo piani di riserva e facciamo un atto di fede.
Ora abbiamo una cinquantina di Km di autonomia e dobbiamo trovare un distributore, far gasolio e aggiungere un litro di olio.
Andiamo al centro più vicino, controlliamo il livello dell’olio sotto al minimo e cerchiamo di capire la sigla dell’olio motore da aggiungere.
Il proprietario del Traffic fa finta di niente, dicendo che è improbabile, ma l’asta non mente, siamo sotto.

Aggiungiamo l’olio, facciamo un bel pieno oneroso di carburante (ha un serbatoio bello capiente!) e via verso il noleggio.
Il noleggio sembra essere una casa privata, dove ci attende un omaccione con pantaloni militari.
Non parla italiano né inglese, ma parla bene spagnolo e in qualche modo ci si capisce.
Nessuno di noi parla spagnolo, ma l’orecchio c’è e ricordando le traduzioni più tricky, adelante, mañana e così via, riusciamo ad intenderci senza difficoltà.

Tornati a prendere le ucraine e i bimbi, sono oramai le 11.
Mangiamo un boccone al volo, un giretto in bagno e, rimontati 3 seggiolini (il bimbo più grande è stato senza, il 4 seggiolino era un incubo e ha rischiato il cassonetto più volte), siamo pronti a ripartire verso le 11:30.
Salutiamo i gentilissimi slovacchi e via di nuovo, per un viaggio oramai verso il termine.

Il viaggio scorre liscio, lento ma senza intoppi, pochissime chiacchiere e ogni tanto qualche lacrima.
Un paio di fermate per andare in bagno e mangiare un panino, senza che mai nessuno ci fermasse.
Abbiamo oltrepassato il confine con l’Italia intorno alle 17:30, per poi iniziare un elenco interminabile di telefonate.
Auricolari alle orecchie e via alle chiamate, genitori, moglie, amici, assessore e pure il sindaco, che ci rassicurava su tutte le procedure che avremmo dovuto tenere i giorni successivi.

La strada si fa via via sempre più familiare e arriviamo in paese intorno alle 20:00.
Scesi dai mezzi ci avviamo a casa di G., dove ci aspettano le nostre mogli e figli che avevano preparato la cena.
Un timido tentativo di stare assieme, di farli sentire i benvenuti, ma il clima rimane teso, con una cena consumata velocemente e quasi in silenzio.
Col senno di poi si poteva capire, eravamo tutti estremamente esausti, bambini inclusi che sono stati davvero bravissimi.

Immaginate voi di essere ospiti a casa di sconosciuti che non parlano la vostra lingua, dopo giorni di viaggio e poco più di un cambio, senza certezze per il futuro e il vostro familiare più caro al fronte.

Bisognava lasciar loro un po’ di spazio.
Probabilmente dopo una bella dormita e qualche ora a decomprimere, interagendo con gentilezza e disponibilità, ma senza troppe intromissioni, le cose sarebbero cambiate.

E così è stato.
Il giorno dopo abbiamo dovuto fare tamponi per il Covid a tutti (Covid che li “non esiste” più), tutti fortunatamente negativi, soprattutto visto il viaggio della speranza in quei veicoli sovrappopolati dove le mascherine non potevano esistere.
Scopriamo con stupore che sono tutte vaccinate Pfizer con 2 dosi e il loro certificato sul cellulare viene letto dall’App di verifica del Green Pass.

Serata assieme e domenica una grigliata sui colli.
Per finire Lunedì le dovute Dichiarazioni di ospitalità in comune.

Loro si sentono ospiti, in debito, ma onestamente poterle aiutare in modo concreto mi fa stare meglio.
È difficile e a distanza di giorni mi sento ancora esausto, ma sarei felice se la mia famiglia avesse bisogno e venisse trattata così.

Caro diario, in molti ora mi chiedono se abbiamo bisogno di qualcosa.

Onestamente?
Non abbiamo bisogno di giochi rotti o vestiti bucati.
Abbiamo bisogno di render la vita più semplice a queste persone.
Non sto parlando necessariamente di soldi o donazioni.
Loro non vogliono la carità, vorrebbero un lavoro per non essere di peso a nessuno, per aiutare la loro famiglia, inclusa quella rimasta in Ucraina.

Abbiamo parlato più di una volta. Molti ucraini civili non capiscono perché Putin faccia loro queste cose.
E allo stesso tempo si sentono abbandonati dagli Europei.
Ringraziano tanto per gli aiuti umanitari, per l’ospitalità… ma loro hanno un invasore in casa e vorrebbero un aiuto concreto per scacciarlo.

Qual è l’obiettivo di Putin?

Uno degli articoli più efficaci e che riesce a leggere tra le righe è questo:
https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/09/guerra-russia-ucraina-lanalista-putin-teme-piu-le-democrazie-ue-dei-missili-usa-la-strategia-delluomo-pazzo-per-disorientare-lavversario/6519519/

Riesce a dare un’interpretazione in più, fuori dagli schemi.
… la strategia dell’uomo pazzo…
… più che temere la Nato ha paura delle democrazie che potrebbero destabilizzarlo internamente…
… chiedere l’impossibile per ottenere il più possibile, estremizzare il conflitto per il massimo profitto…

Tutto il resto oramai è chiaro.
Un filorusso, come ad es. Yanukovych, al posto di Zelensky, l’impossibilità di contrattaccare per evitare un conflitto nucleare, l’arma delle sanzioni colpendo anche gli oligarchi russi… è tutto molto interessante…
Quasi noioso, oramai… quale sarà il turning point?

Caro diario, altri invece mi chiedono cosa possono fare.

Come se io fossi un oracolo, uno stratega militare di rango altissimo in grado di cambiare le sorti.

Io non lo so cosa dobbiamo fare.
Una parte di me inneggia all’hashtag #FCKPTN , a volte vorrei andare ad aiutare, a volte vorrei mettere la famiglia in macchina e scappare…
non ti nascondo che tra i miei “Piani B” c’è anche la fuga in Portogallo o Tenerife, chissà.

Però penso che ci siano alcune piccole cose che possiamo fare.
Secondo me la migliore delle risoluzioni di questo conflitto prevede la Russia sull’orlo di un crollo finanziario, tale per cui Putin venga messo alla porta dalla sua Guardia, dai suoi Militari e dai suoi cittadini (in modo più o meno gentile, mi importa davvero poco!).

Per prima cosa dovrebbero seguire tutti Anonymous su Twitter. Questi ragazzi (alcuni vengono anche definiti delinquenti, pericolosi criminali) sono fantastici, sono meravigliosi.
E stanno combattendo silenziosamente una parte importantissima di questa guerra.
A volte suggeriscono alcune azioni da fare, come quella di scrivere recensioni sui siti Russi, hanno pubblicato un elenco di canali Social dove scrivere riguardo la guerra, creato un BOT per mandare SMS a russi casuali con messaggi relativi all’invasione… seguite i canali @YourAnonNews , @YourAnonTV , @YourAnonOne e tutti gli eventuali affiliati, ce ne sono decine e decine ormai.
Tutti dovrebbero seguirli ed eventualmente aderire alle loro iniziative, facendo qualcosa di concreto (o almeno condividendo).

Ma se faccio mente locale, caro diario, potrei riepilogare queste 3 cose.

3 cose concrete per aiutare la guerra contro Putin

1. Putin non è il Presidente della Russia, basta chiamarlo così, le parole hanno potere

Iniziamo a chiamarlo il Dittatore della Russia, la Russia è una Dittatura, i civili non sono informati, tutti i media sono in mano al governo e i dissidenti vengono “dissuasi”.
D’ora in poi chiamiamo tutti Putin il Dittatore, mentre questa è una Guerra, è l’Invasione russa dell’Ucraina.
Putin l’invasore. Putin il Dittatore.

#FCKPTN
#FCKPTN

E bisogna esortare chiunque affermi diversamente di correggere i termini.
Questa piccola mossa può essere molto più efficace di quello che si crede.

2. Bisogna informare quanti più Russi e Bielorussi possibile, informarli e convincerli

Se li conosciamo di persona, contattiamoli direttamente e spieghiamo loro cosa sta succedendo.
Chiamiamoli, mandiamo loro messaggi, SMS, scriviamo loro email.

Ovunque ci siano Russi e Bielorussi, spieghiamo e chiediamo che spargano la voce coi loro connazionali.
Con il controllo dei Media da parte del Governo è un’operazione lunga e difficile, ma anche questa può diventare una vera e propria arma contro Putin.

Su questo fronte penso che i Governi stiano facendo troppo poco, dovrebbero investire e capire come influenzare maggiormente l’opinione pubblica di questi 2 paesi.

Parlo da ignorante, ma non si potrebbe offrire una connessione gratuita e non filtrata per lo meno nelle città più popolate?
Che ne so, qualcosa di satellitare, difficilmente intercettabile, tipo Starlink?
VPN gratuite?
Sai che bello sarebbe un lancio di volantini da un aereo sopra Mosca? Forse l’ultima cosa da fare in vita… ma sai che bello?

3. Dipendiamo tanto, troppo energeticamente dalle risorse russe

Questo ci farà davvero male.
Il Governo e l’Europa tutta sta reagendo, ma queste transizioni sono lente e nel breve periodo accuseremo un colpo pesantissimo.

Le bollette triplicheranno, quadruplicheranno, forse più!
E i carburanti arriveranno a 3€ al Litro!

Non possiamo evitarlo e diamo per scontato che chi ci guida farà del suo meglio per contenere questi aumenti, che saranno principalmente sul gas metano, sull’elettricità e sui carburanti.

Noi non possiamo far niente per farlo costare meno, ma potremo trovare il modo di consumare meno.

Valutiamo tutti di installare qualche pannello fotovoltaico, un solare termico, una pompa di calore, il cappotto o infissi isolati… controlliamo di avere solo lampadine a basso consumo o a LED e ricordiamoci di non lasciare le luci accese quando non servono (come facevano i nostri nonni!)… dobbiamo eliminare tutti gli sprechi!

Quando siamo in macchina potremo cercare di non correre, consumando meno. Oppure andare a piedi, in bicicletta o coi mezzi pubblici.

E possiamo abbassare o addirittura spegnere i termostati.
Io l’ho già fatto, questo può fare una grande differenza se siamo in tanti a farlo.

Spegniamo i termostati da tutte le stanze poco utilizzate, abbassiamo i termostati nelle stanze dove si vive, mettiamoci una maglia in più e, se possiamo, sfruttiamo di più stufe a pellet o a legna, che non consumano gas e pochissima elettricità (conosco le diatribe a riguardo, ma preferisco la biomassa alle centrali a carbon fossile!).

Anche questi gesti, se fatti assieme, possono avere un impatto davvero significativo.
E non solo per le nostre tasche, aiuterebbe questa transizione energetica e toglierebbe risorse a Putin.

Ogni €uro che arriva in Bielorussia o Russia, finanzia questo spargimento di sangue, compra una pallottola che potrebbe uccidere il prossimo bambino.

Io non voglio questo.
Mai più.
E tu?

#FCKPTN
#FCKPTN

Ciao, sono Emanuele e da qualche anno mi sto appassionando al P2P Lending e al Crowdinvesting. Sono un fan della FIRE community e pensiero. Seguitemi, Emanuele

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